Le due consecutive finali fratricide dei quarta categoria impongono una chiacchierata con chi gli Endrizzi li conosce bene, ne accompagna la crescita, e insomma può inquadrarne le prospettive future.
1. Fin dai tempi del S.Rocco, in molti hanno indicato Jacopo come il più dotato dei due, o comunque quello con maggiori possibilità di “sfondare”. Tu cosa ne pensi? E la finale di domenica è la prova che il sorpasso è già avvenuto?
Dico cose ovvie: penso che ogni giovane ha una sua strada da percorrere, una personale evoluzione. E tale cammino dipende da molteplici fattori: determinazione, capacità coordinative e condizionali, mentalità. Alcuni innati, altri migliorabili. Quanti giovani che si ritenevano dotatissimi si sono persi per strada semplicemente perché si sono stufati? E poi magari hanno ripreso in età adulta, tornando ad essere (penso a Unterhauser) fra i primi 70 d’Italia assoluti? Quando ero giovane io (sigh) Marchiori perdeva regolarmente sia da me che da Bravin. Poi in età adulta, guarda caso, è stato l’unico di noi a raggiungere la seconda categoria (io ci sono andato vicino ma non ci sono mai riuscito). Per non dire di Moratelli, che è diventato seconda quando aveva superato abbondantemente i trent’anni. Sinceramente, non riesco e non voglio fare pronostici sull’evoluzione dei ragazzi: penso che il bello sia invece scoprire via via ed accompagnare, per quanto possibile, sia da un punto di vista tecnico che umano, la loro crescita personale, in un’ottica di lungo periodo.
2. Su cosa hai lavorato finora, e cosa ritieni ci sia ancora da fare?
Penso che l’allenatore debba avere come obiettivo la crescita complessiva degli atleti. Gli aspetti della tecnica, psicologico e tattico sono intimamente connessi l’uno con l’altro, e spero di non avere tralasciato od omesso nessuno di tali aspetti. Inoltre è importante l’inserimento nella squadra, l’affiatamento, il sentirsi parte di un gruppo, ecc. Sicuramente Iacopo è molto veloce e sveglio, nel senso che sa leggere bene e rapidamente la partita in chiave tattica; deve sicuramente lavorare ancora sulla tecnica, soprattutto sul topspin; l’aumento della forza fisica lo sta aiutando e lo aiuterà, ma sarà importante assecondarlo con il miglioramento della tecnica. Inoltre deve imparare a convertire il più possibile la sua naturale tensione emotiva in senso positivo. Leonardo è cresciuto molto dal punto di vista psicologico, è già molto maturo per la sua età e ciò mi ha reso particolarmente felice. Sicuramente, oltre che dal punto di vista tecnico (soprattutto per i tre colpi d’inizio gioco: battuta – qui mi aiuta molto Giongo -, risposta e terza palla), deve potenziarsi anche fisicamente per ottenere più profondità e rotazione. Devo dire che i ragazzi stanno facendo un ottimo lavoro anche a casa, con il padre, coordinandolo con quello svolto in palestra. Inoltre si sono inseriti bene nelle rispettive squadre, cosa non facile, vista la differenza di età e di interessi. Devo dire (ma lo sapevo) che più si va avanti nell’evoluzione più aumenta per me la difficoltà, perché i miglioramenti sono sempre più minimali, di fino, e le prospettive meno evidenti. Bisogna procedere con molta umiltà, mettendosi anche in discussione. Aumenta anche la responsabilità, perché se non si procede con la dovuta accortezza si rischiano danni incalcolabili, non solo da un punto di vista tecnico. Inoltre, fra non molto (un paio d’anni) ci saranno problemi nell’assicurare un adeguato ritmo nell’allenamento da parte degli sparring.
3. E quindi dovranno traslocare, forse anche fuori regione. Stanno realmente pensando al professionismo? Oppure lavorate solo su obiettivi a breve termine?
Su prospettive di alto livello io sono stato da subito molto chiaro, come anni fa ero stato altrettanto chiaro con Irene Cipriani e famiglia: non siamo assolutamente in grado in Trentino di orientare un percorso che si avvicini solamente al professionismo. Non voglio entrare nel merito, il discorso ci porterebbe lontano. Finora la scelta dei ragazzi e famiglia non si sta orientando in questo senso (diversamente da ciò che accadde con Irene che se ne andò a Terni: ma attenzione, la scelta non fu banale, fu molto sofferta!). Credo che i ragazzi e la famiglia abbiano semplicemente la passione e l’orgoglio di fare le cose nel migliore dei modi. Cercando semmai di non focalizzarsi troppo sul risultato immediato, ma piuttosto di avere una prospettiva di crescita complessiva come atleti e come persone. Ritengo che il tennistavolo possa essere funzionale per trovare la giusta grinta per affrontare poi i problemi della vita reale. Il professionismo, con i tempi che corrono, sarà invece riservato ad una piccolissima schiera di eletti, destinata secondo me a ridursi sempre più. Penso che comunque, anche restando in Trentino, ci siano possibilità per i due giovani di divenire seconda categoria (come altri in passato, ricordo nel settore maschile i vari Parisi, Marchiori, Moratelli). Ogni anno, comunque, ci poniamo degli obiettivi, sia per quanto attiene i campionati a squadre che individuali. Ad esempio, per i campionati italiani, con Leo ci proponiamo il passaggio del girone negli juniores, con Iacopo l’ingresso nei primi otto ragazzi.
4. Parli ormai da ex-giocatore, o da tecnico a tutto tondo. Se è così, cosa state facendo affinché a Besenello/Calliano il pingpong giovanile non nasca e non muoia con gli Endrizzi?
Purtroppo non stiamo facendo molto: hai toccato un nervo scoperto. Come puoi immaginare è una questione di spazi, soldi, tempo a disposizione…. Ti assicuro che già ora ho spesso occasione di litigare con mia moglie per i miei impegni. Non si tratta solo degli allenamenti, ma anche di andare ai tornei, ai campionati italiani, partecipare al comitato, la burocrazia della società, ecc. Nel mio libro dei sogni ci sarebbe comunque il desiderio di seguire anche alcuni ragazzini del paese, magari con l’aiuto di Mario Tomasi e Paolo Fasanelli.
5. Vi è mai balenata, in Fitet, l’idea di creare un centro tecnico provinciale, o magari di favorire una più stretta collaborazione tra le società più attive? Visto che siamo piccolini, forse quella di unire le forze potrebbe essere una buona mossa.
A dire il vero, qualcosa con il Comitato stiamo cercando di fare per superare le barriere fra le società: gli stages, gli incontri dei tecnici presso le società, i contributi alle società che si organizzano assieme per partecipare a tornei giovanili nazionali, e altro ancora. Sono d’accordo sul fatto che in quest’ottica dobbiamo superare l’ancestrale rivalità e puntare su migliori rapporti di collaborazione fra le società. Per fare ciò dobbiamo cambiare radicalmente la nostra ottica: pensare non a noi stessi e alle nostre piccole “glorie“ personali (di tecnici o di dirigenti o di atleti più forti), ma soprattutto alla crescita dei giovani. Per fare ciò, dobbiamo pensare ad una “rete” fra le società che permetta la crescita dei giovani, con step successivi, che li possa anche portare verso società via via più strutturate. Come sostengo da tempo è anche necessario che nelle società gli atleti più esperti si dedichino di più alla crescita dei giovani. Continuando a pensare alle piccole - ma veramente piccole - glorie personali, andremo poco lontano.
(andrea galler)