Signor Luciano Cont, grazie per avere accettato di rispondere a questa intervista. Lei è arbitro da 47 anni: era quindi il 1974 quando ha iniziato questa esperienza. Ci può dire come e perché l’ha intrapresa?
Nei primi anni Settanta anni mi piaceva giocare a ping pong nell’oratorio del mio paese, Aldeno, e avevo anche fondato una società che era affiliata alla FITeT e con una squadra giocava nella serie più bassa di allora, che sarebbe come l’attuale D3. A quei tempi non c’erano arbitri (non è molto cambiata la situazione) e ogni società era in un certo senso obbligata a mettere a disposizione un arbitro, e per la mia ero io. Dopo un paio di anni la società si sciolse e mi venne chiesto da Giuseppe Goio, allora presidente della FITeT provinciale, se fossi stato interessato a rimanere nell’ambiente e a partecipare a un corso per arbitri. Ricordo che frequentai un corso e diedi l’esame nel settembre 1974, insieme a Velia Ugo Piras. Aneddoto curioso: demmo l’esame in un albergo della Valle di Non, sfruttando la coincidenza che l’esaminatore, Cesare Sagrestani, dirigente nazionale (e successivamente presidente) della FITeT, si trovava lì in viaggio di nozze. Diventai quindi giudice arbitro provinciale. Velia era invece giudice arbitro nazionale, e quando venne eletta presidente del comitato FITeT del Trentino, fu chiesto a me di diventare giudice arbitro nazionale al suo posto e accettai.
Il suo curriculum è di altissimo livello: tra le altre molteplici esperienze, finali scudetto maschili, il Campionato Europeo Veterani di Courmayeur, tornei Open Paralimpici internazionali, tornei Cadet internazionali, 43 tornei nazionali, molti campionati italiani, arbitraggi nella serie A1 maschile, in A2 e in B1 maschile, nonchè A1 e A2 femminili.
Di tutte queste c’è un’esperienza che le è rimasta particolarmente impressa e perchè?
Sicuramente le grandi manifestazioni nazionali, in particolare i campionati italiani. In anni recenti, ad esempio, i campionati del 2016 a Lucera in provincia di Foggia. Ricordo che, appena arrivato in palestra, mi chiesero di fare la direzione gare. Si trattava di gestire la situazione per parecchie giornate, più categorie, molti tavoli … ho quindi nella memoria queste manifestazioni sia per il grande lavoro come direzione di gara, con parecchi partecipanti, sia per il livello di gioco davvero alto.
Come è cambiato il tennistavolo in questi decenni?
È cambiato molto. Innanzitutto, con il punteggio ad 11 non ci sono possibilità di cali, si deve dare tutto da subito; nel punteggio al 21 ci si poteva permettere anche di perdere qualche punto, c’era tempo per recuperare.
C’è più attenzione ai materiali; infine, è emersa la figura del tecnico e la qualità e cresciuta molto. Una volta il tecnico era una figura che appariva molto meno.
Ha notato un cambiamento nel modo di porsi degli atleti, anche nei confronti dell’arbitro?
Forse qualcuno che cerca di fare il bulletto, specie tra i più giovani, lo si trova più spesso. Io rimango dell’idea, comunque, che l’arbitro debba avere tatto e umiltà. Può capitare che sfugga uno spigolo o un net, e in qualche caso a mio parere deve fidarsi dell’indicazione del giocatore.
Lei ha osservato la storia del tennistavolo trentino da un punto di vista particolare e, in un certo senso, privilegiato. Contemporaneamente ha assistito allo sviluppo del tennistavolo in altre zone della penisola. A suo parere, cosa manca al tennistavolo trentino per fare un salto di qualità?
Il livello alto lo hai se hai tanti praticanti: i grandi numeri portano più competizione. Servono soldi, portati da sponsor e contributi, per avere più strutture e soprattutto tecnici che possano portare esperienza da fuori dei confini provinciali. Noi abbiamo avuto squadre che hanno giocato al massimo in B 1. Per fare un confronto con una realtà che conosco bene, l’Alto Adige ha sempre avuto squadre in A1 e in A2, con contributi, sponsor, giocatori stranieri: tutto questo crea stimolo, competizione e fa crescere il livello.
Che cosa significa essere arbitro di tennistavolo? Quale motivazione può spingere oggi a cimentarsi con la carriera di arbitro?
La prima motivazione è la grande passione per questo sport. A me piaceva una volta e piace moltissimo anche adesso. È uno sport bellissimo, completo, se lo fai come si deve e non come si faceva all’oratorio, dove si giocava da fermi. Ad alti livelli vedi colpi incredibili che non sai come fanno ad entrare. Ma oltre alla passione per il tennistavolo, è fondamentale sottolineare che è una attività che si regge sul volontariato. Molte ore di volontariato. Un esempio: quando ci sono le giornate di D3, i cosidetti “concentramenti”, le prime partite iniziano alle 9 e le ultime terminano alle 17. Il giudice di gara deve arrivare un’ora prima e vi lascio immaginare a che ora arriva a casa; il piccolo compenso di “diaria” è simbolico, se si tiene presente il tempo che viene dedicato. Anzi, spesso mi sono trovato a preparare i moduli per referti e refertini il giorno prima, per portarmi avanti con il lavoro. Quindi chi intraprende questa attività deve avere chiaro che lo spirito di volontariato è alla base.
Grazie per la chiacchierata e soprattutto per il tempo che ha dedicato in tutti questi anni a consentire il regolare svolgimento di innumerevoli tornei. E chiudiamo anche in questo caso con un arrivederci, speriamo non troppo lontano, nelle palestre.