Della storia del tennistavolo trentino rappresenta una bella fetta, che diventa gigante se consideriamo solo il settore rosa. Prima maglia azzurra a 15 anni, altrettanti trascorsi tra A1 e A2 da Messina ad Aosta, n.12 d’Italia, una finale scudetto persa, svariate medaglie di ogni colore agli italiani di 2° e di 3°.
1. Però adesso ti barcameni tra una B femminile sempre uguale a se stessa e dunque poco stimolante, e la C1 degli uomini. Trovi comunque le motivazioni?
A dire la verità la B mi serve per poter giocare con i maschi in C1. Non ci sono prospettive, quasi tutte le avversarie potrebbero essere figlie mie, ragazzine nostre da aiutare a crescere non se ne vedono. Insomma il tennistavolo per me è solo un motivo per fare due tiri ogni tanto, per vedere Romano al quale sono molto legata, e magari per dare una mano ai maschietti quando sono libera da altri impegni.
2. Già, perché adesso il tuo primo sport è diventato il pallone.
Sono ormai dieci anni che mi diverto col calcio, prima a 11 e ultimamente a 5: Hdi, Trilacum e ora Tesino. Mi piace stare davanti e fare gol, anche se nel calcetto i ruoli non sono così definiti. Quel che è certo è che, dopo tante stagioni di impegno professionistico o quasi, avevo bisogno di staccare, di dare spazio ad un’altra passione. E del resto mi è sempre piaciuto lo sport di squadra, il vivere lo spogliatoio, il vincere e perdere insieme... Con il tennistavolo tutto questo non è stato possibile, voglio dire rimanendo in Trentino.
3. E nemmeno si vede la possibilità che ciò accada – ad altre - nel prossimo futuro. Siamo messi tanto male? Ad un certo punto Susanna Valer ci aveva fatto sperare...
Il livello qui da noi è sempre stato piuttosto modesto, io ho dovuto fare le valigie molto presto per poter crescere e raggiungere obiettivi importanti. Non ho sott’occhio le bimbe più piccoline, quindi posso solo sperare che da loro nasca qualcuna in grado di darci soddisfazioni anche a livello nazionale. La Valer non la vedo più nemmeno nella nostra B, però non conosco le sue motivazioni attuali. Di sicuro vincere qualcosa a livello giovanile è troppo poco, i successi a quell’età dovrebbero essere innanzitutto il punto di partenza, la spinta per proseguire anche nelle serie superiori. Almeno, per me è stato così.
4. Come mai non ti sei ricandidata in Fitet?
In parte per problemi di tempo, ma a dire la verità ero entrata perché avevo promesso a Velia che le avrei dato una mano, ora che lei non c’è più non sento più grandi motivazioni. Resta inteso che se Romano e gli altri mi chiederanno una mano, io ci sarò sempre. Tornando a Velia, il suo sogno (e io lo condividevo) era costruire una squadra femminile che rappresentasse l’intera provincia. Ci abbiamo provato, ma per quanto mi riguarda posso dire di essermi scontrata con club che tengono le loro atlete come gioiellini e mai e poi mai le lascerebbero libere di cambiare casacca. Lì ho capito che il progetto non sarebbe mai nemmeno nato, e ho deciso di limitare il mio contributo al Villazzano e a Romano. Un vero peccato, comunque, perché se le poche ragazze trentine resteranno isolate nelle loro società finiranno o per smettere per mancanza di stimoli, o per andare fuori regione in cerca di qualcosa che qui non trovano.
5. Da ex consigliera e da ex professionista, vuoi sintetizzare qui qualche suggerimento per alzare il livello dell’intero movimento provinciale?
Io partirei dalle scuole, con interventi gratuiti sia nelle elementari che nelle medie, pensando magari a delle feste conclusive che riuniscano tutti coloro che hanno aderito al progetto. Questo per il reclutamento. Poi la maturazione dei piccoli atleti dovrebbe svilupparsi con stage collettivi incentrati sia sulla tecnica che sul piano fisico, anzi direi soprattutto sul piano fisico. Sarà forse perché è il mio lavoro, ma sono certa che un’adeguata preparazione fisico/atletica sia la base indispensabile per affinare quelle capacità motorie che poi saranno alla base della tecnica. Bisogna quindi qualificare gli allenatori con corsi di formazione e aggiornamenti continui. Mi piacerebbe anche promuovere maggiormente questo sport in ambito riabilitativo, dando la possibilità a persone con disabilità di fare attività non solo ricreativa ma anche a livello agonistico. Infine si dovrebbe dare la giusta importanza al settore amatoriale, coinvolgendo tutti coloro – e sono tanti – che da giovani, all’oratorio o al campeggio o al mare, hanno maneggiato una vecchia racchetta che adesso non ricordano più dove l’hanno sepolta...
(andrea galler)